Martedí 9 dicembre la comunità di Cuneo ha salutato con grande affetto il sig. Franco Botto, salesiano coadiutore, da oltre 20 anni presenza viva e allegra della casa. È mancato il 6 dicembre a Torino, casa Andrea Beltrami, all’età di 88 anni, 70 di vita religiosa.

Riportiamo il profilo biografico scritto di suo pugno e letto dal Direttore all’inizio delle esequie, insieme all’omelia pronunciata da don Alberto Goia.

Profilo biografico

Mio padre, Marcello Giuseppe Botto, e mia mamma, Maria Bracco, abitavano a san Giacomo di Clavesana, Cuneo. Visto che nell’aia si riversavano quattro famiglie, decisero di comperare una casa altrove. Trovarono una cascina a Monforte d’Alba, oltre il cimitero, e ivi si trasferirono negli anni Trenta. Lavoravano la terra, con loro c’erano i miei fratelli maggiori: Vittorio, Teresa ed Egidio. Ivi nacqui l’8 agosto 1937, quarto fratello. Nel 1940 nacque Armando, nel 1945 Giovanni, quindi Caterina e Marina. Caterina ebbe vita breve e Giovanni morì a 4 anni.

In principio frequentai l’asilo presso le suore Figlie di Maria Ausiliatrice, al paese, ed in seguito le scuole elementari. A otto anni feci la prima Comunione. Nel 1948 i miei genitori pensarono di inviarmi a studiare in un istituto a Casale Monferrato, dai Salesiani. Ivi rimasi due anni. Vista la difficile riuscita nelle materie letterarie, ritornai a casa. I miei genitori cercarono per me in seguito un settore professionale più idoneo e quindi mi trasferii a Torino, al Rebaudengo. Non essendoci più posti per altri mestieri, dovetti adattarmi a fare il calzolaio. Feci questo mestiere durante l’avviamento e l’aspirantato, per alcuni anni. Con un bel gruppo di compagni passai quindi al noviziato a Villa Moglia, nel 1954.

Il 16 agosto 1955 feci la prima professione religiosa, nel 1956 mi trasferii nuovamente al Rebaudengo per il magistero, ma, essendo stato eliminato il settore dei calzolai, mi dedicai all’elettromeccanica. Per motivi di salute, quali TBC renale e polmonare, sono stato in ospedale e a Piossasco in casa di cura, quindi in convalescenza a Varazze nel 1957-58. Quindi fui ancora a Piossasco nel 1959, mentre negli anni seguenti ho potuto proseguire il magistero. In questi anni, 1960-61, ho fatto il radiotecnico e l’elettronico, professando i voti perpetui il 14 agosto 1961.

Oltre alla sorella Teresa, già Figlia di Maria Ausiliatrice, anche Marina abbraccia la vita religiosa, facendosi Luigina, con il nome di suor Marcella. Nel 1965 l’obbedienza mi manda all’Agnelli, con il signor Pizziola, come elettronico industriale. Nel 1966 mi trasferii per un periodo di convalescenza a Peveragno-Madonna dei Boschi. Nel 1967, visto che la vita torinese non era confacente alle mie condizioni di salute, il signor Ispettore mi mandò a Bra, mentre nel 1969 morì mio padre.

A Bra svolgevo i compiti di insegnante di applicazioni tecniche, barista ed infermiere, questo fino al 1973. Quindi fui trasferito a Peveragno per sostituire l’infermo signor Airasca, allora infermiere. A Peveragno ero impegnato nell’insegnamento dell’educazione tecnica, come infermiere e fac totum, in particolare per il servizio di manutenzione della casa. Nel 1986 l’istituto di Peveragno fu chiuso, mentre io rimasi in loco con alcuni confratelli per poi rimanere solo io e il signor Colli Giuseppe, che però morì nel 1994. Così rimasi solo. Non essendo più la casa una comunità canonicamente eretta, fui assegnato alla casa Andrea Beltrami, ove tuttavia non mi trasferii mai. Fui quindi assegnato alla comunità di Lombriasco.

In queste due case, in quanto lontane, non mi sono mai trasferito, non riuscendo nel frattempo a concludere la vendita dell’istituto, avvenuta solo dopo 12 anni. Alla fine fui assegnato alla comunità di Cuneo, dove gradualmente, grazie alla vicinanza con Peveragno, mi trasferii. In questi anni i superiori mi desiderano con sempre maggiore frequenza a Cuneo, tanto che ad un certo punto ho cambiato residenza, visto e considerato che ormai trascorrevo la maggior parte del tempo presso la comunità di Cuneo dove svolgo lavori di manutenzione varia e di provveditore per la cucina.

Nonostante le funeste previsioni di un decesso nel 2011, fatto poi non verificatosi, l’Ispettore (don Martoglio), sentita la situazione, ha stabilito come obbedienza per me l’impossibilità di morire senza il suo esplicito permesso. (NOTA BENE PER IL DIRETTORE: per eventuali aggiunte a quanto scritto, mi affido alla bontà paterna del Direttore, raccomandando di non ampliare, sminuire o distorcere la verità dei fatti).

Attenendomi alla preziosa consegna, mi limito ad aggiungere l’ultimo trasferimento, realmente avvenuto questa volta, a casa Andrea Beltrami, nel 2024, per motivi di salute. Siamo qui riuniti oggi per pregare in suffragio della sua anima, per chiedere il dono del premio eterno a questo servo buono e fedele.

Mentre nell’aldilà finalmente si staranno appianando le eterne discussioni tra lui e don Flaviano sulle misure, i perimetri, la forma e i tempi del paradiso, noi ringraziamo il Signore per la vita di Franco, la sua vocazione, la sua bella presenza tra noi che lascia un ricordo indelebile, fatto di tanta allegria salesiana per cui sentiamo proprio adatte a lui le parole del nostro amato fondatore:

“Ricordatevi che sarà per voi sempre una bella giornata quando vi riesce di vincere col bene un nemico o di farvi un amico!”

Omelia di don Alberto Goia

Non fate cine”, probabilmente sarebbe questa la tua raccomandazione in vista della celebrazione e dell’omelia del tuo funerale. E questa è solo una delle espressioni che resteranno indelebili nelle menti di noi confratelli, dei giovani, alcuni ormai adulti e in tutti coloro che hanno condiviso con te un pezzo di strada a Bra, a Peveragno, a Cuneo e in tutte le altre realtà nelle quali sei stato. “Non fate cine”.

Ecco davvero un israelita in cui non c’è falsità”.

Il Vangelo non da spiegazione di questa espressione, probabilmente Gesù legge nel cuore di Natanaele un profondo desiderio di verità e ravvede in lui la capacità di creare legami schietti e immediati. Caro Franco più volte abbiamo associato a te questa frase che Gesù dice di Natanaele. Era un modo per sottolineare il tuo modo diretto, forse un po’ troppo, di comunicare il tuo pensiero. Era chiaro cosa ti facesse piacere e cosa no anche se quasi mai lo verbalizzavi in modo esplicito, ma avevi creato un tuo linguaggio che ormai avevamo imparato a riconoscere e ad interpretare.

Da qui venne l’idea di un dizionario italiano-franco che raccogliesse le tue espressioni più caratteristiche: “Le bottonate”. Rileggendolo in questi giorni grazie alla condivisione di don Matteo e di don Michele è stato impossibile trattenere le risate. Chissà i tuoi ex-allievi quante altre espressioni hanno imparato a riconoscere lungo gli anni in cui sei stato insegnante e infermiere.

Di Natanaele, probabilmente avevi anche l’impulsività. Natanaele dubita della provenienza del Messia: “Da Nazaret può venire qualcosa di buono”? Ma Natanaele è capace anche di esplodere rapidamente in una professione di fede stupenda: “Rabbì, tu sei il figlio di Dio, il Re di Israele”. Anche tu Franco faticavi a trattenere le emozioni, diciamo soprattutto le arrabbiature, ma il tuo modo di fare spontaneo rompeva qualunque barriera ed è difficile, almeno negli ultimi anni, trovare un confratello che non sia stato a proprio agio con te.

Chissà Natanaele come si è integrato nel gruppo degli apostoli? Di carattere forse non era il più semplice tra di essi e chissà quali discussioni avrà avuto con il resto del gruppo lungo i tre anni di ministero pubblico di Gesù? Eppure Gesù non rinnega la sua chiamata e non rinuncia ad inviarlo come apostolo e testimone. Anche tu Franco hai cercato di essere un testimone di Cristo. Esemplare la tua presenza alla preghiera comunitaria e il tuo desiderio di vivere bene i momenti comunitari. Ti rallegrava, quasi ti consolava vedere i giovani ai momenti di preghiera.

Quando abbiamo avvertito i primi segnali della malattia abbiamo iniziato ad accompagnarti a delle visite specialistiche. Una mi rimarrà impressa per sempre. Il neurologo dopo alcuni test per valutare i tuoi riflessi, per verificare la reattività del volto ti chiede di fare un sorriso. Tu hai risposto: “Mi scusi, ma non sono tanto abituato”. Ecco, con te anche le cose più semplici di una giornata potevano diventare un’occasione di risata e di divertimento.

Gli ultimi anni a tavola ci capitava di divertirci così tanto da vederti piangere dal ridere.

Quale gioia quando mi dissero: andremo alla casa del Signore”.

Credo non ti saresti definito un salesiano gioioso e forse l’articolo 17 delle nostre costituzioni “Ottimismo e gioia” non è l’articolo che più si adatta a te, però è incredibile come tu sia riuscito a creare tanta gioia e allegria intorno a te. Le tue battute pungenti e acute ormai sono impresse nella nostra memoria e hanno costruito una relazione davvero fraterna.

Il Salmo richiama la gioia dei pellegrini israeliti alla vista di Gerusalemme. Verrebbe facile l’associazione con i tuoi viaggi verso Peveragno, invece io voglio sottolineare quasi il pellegrinaggio inverso che hai fatto. Gli anni della solitudine a Peveragno ti hanno segnato profondamente, e accogliere l’obbedienza di Cuneo non è stata semplice, dicevi: “Il mio ingresso in comunità a Cuneo è stato morbido”… oggi le letture ci consegnano una rilettura di quegli anni, quasi un pellegrinaggio.

Ti abbiamo visto rifiorire, aprirti, entrare maggiormente nelle dinamiche comunitarie e dell’oratorio, i tuoi direttori, alcuni oggi qui, lo possono testimoniare. Ad esempio tanti giovani ricordano il tuo laboratorio durante l’Estate Ragazzi, penso a quando ci preparavi i “panini scientifici” come pranzo al sacco nelle gite. In una condivisione comunitaria sei riuscito a dire: “Siete riusciti ad addomesticarmi”.

Hai accettato di venire a Cuneo e forse ciò che il Signore ti ha donato qui ha sorpreso anche te, mai ti saresti aspettato di diventare il “nonno” della comunità. Non ho timore nel dire che qui hai incontrato nuovamente il Signore attraverso i confratelli, i giovani e tutte le persone che ti hanno voluto bene e a cui tu, a modo tuo, hai voluto bene. C’è un video di tre anni fa, quando a 85 anni ti vestito da leone per far ridere i bimbi e gli animatori delle settembriadi. Rimane un segno indelebile della conversione che hai accolto e hai realizzato.

In tutto questo vedo un segno di risurrezione, quando lasciamo entrare Cristo nella nostra vita, attraverso le sue mediazioni, ecco tutto assume un volto nuovo. Don Bosco lo aveva intuito bene, non c’è casa salesiana senza gioia e allegria.

Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo” … il tuo libro preferito: l’Apocalisse.

Quando martedì scorso siamo stati a salutarti per l’ultima volta, don Michele ti ha ricordato i passi dell’Apocalisse. Quante volte li hai letti, quante volte ci hai chiesto delle spiegazioni e hai letto i testi che noi usavamo alla Crocetta per comprendere meglio la Verità racchiusa, tu diresti “nascosta”, in queste pagine? Nessuna interpretazione ti era sufficiente, erano tutte troppo “ortodosse”.

Possiamo dirlo Franco, tu hai cercato profondamente Dio attraverso le immagini della Sua Parola, ti sei arrovellato e hai cercato in tutti i modi di scorgere in essa dei segnali che parlassero alla tua vita. Noi a volte abbiamo scherzato su questo, ma oggi voglio coglierne il senso più profondo. È come dici tu, solo nella Parola di Dio noi possiamo trovare il senso della nostra vita, del mondo e della storia intera. La Parola di Dio va conosciuta, amata, interiorizzata perché possa realizzare un incontro vero e pieno con Dio, più volte hai richiamato noi preti a non essere banali e superficiali nelle omelie.

L’Apocalisse parla di guerre, di bestie, di tragedie e di catastrofi. Tutto questo ti sconvolgeva e non ti accontentavi di interpretazioni sommarie. Ma l’Apocalisse parla anche di pace e di gioia, anzi, la Rivelazione ultima è proprio questa: attraverso le tribolazioni e i drammi della vita, la promessa di salvezza del Signore non viene meno, anzi, in mezzo ad esse si realizza la storia della Salvezza.

La Gerusalemme celeste è la vera meta per il pellegrinaggio di ogni uomo su questa terra. Ora Franco ogni cosa ti è chiara e siamo qui per pregare che tu possa essere totalmente in Dio. È bello sapere che Dio desidera incontrare ogni uomo e ogni donna come suo sposo e come sua sposa, è bello sapere che la morte non è l’ultima parola, ma che il Risorto ha inaugurato i Cieli nuovi e la Terra nuova, vera patria per ognuno dei suoi figli. La voglia di comprendere il mistero di Dio ti ha portato Franco a fare anche delle supposizioni interpretative di questo testo che speriamo tu non abbia scritto da nessuna parte, ma ora che tutto ti è più chiaro, ti chiediamo di pregare per noi affinchè anche noi possiamo desiderare il Cielo e vivere su questa terra come veri figli.

Sig. Botto, caro Franco, se nulla accade per caso, mi commuove anche il pensare che sia un segno che tu sia salito al cielo nel tempo di Avvento. È il tempo liturgico che ci parla di attesa, di vigilanza, di alzare lo sguardo, dei tempi ultimi, della nostra vita e del mondo intero. Non poteva esserci tempo liturgico più adatto per incontrare definitivamente il Tuo Signore.

Ci vediamo in Paradiso. Addio.

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